Nel mio lavoro sono ‘abituato’ a dare consigli più o meno approfonditi sul modo di mangiare alcuni cibi e, soprattutto, sul modo di accompagnarli con altrettanti alimenti.
Spesso, per non dire spessissimo, mi trovo a discutere di cose strettamente legate alla bontà di un cibo ‘perché’ alla fine la domanda che tutti si fanno è questa: “come faccio a sapere se questo – quello che mangio – è un cibo buono o cattivo?”
Credetemi, sembra la domanda più stupida della terra, ma non lo è affatto. Confondere bontà con commestibilità – sapore gradevole, è un errore in cui si incorre con grande facilità?.
Non necessariamente, per distinguere un cibo buono da un cibo cattivo, dobbiamo essere dei gourmet, anzi.
Diciamo che è? una questione di predisposizione, ma ci sono persone che grazie alla scuola del marciapiede alimentare, sono riuscite a “farsi le ossa” nelle papille gustative.
Le grandi aziende ci hanno abituati (e non esagero) a mangiare cibi in stile Friskies: anestetizzano il sapore grazie ad un alto retrogusto al salnitro, conservante che si trova ovunque.
Allora ben vengano i ristoranti di livello e anche gli chef famosi: i vari Cracco e Bastianich, che tra un gossip, una messa in scena televisiva e i corsi di cucina, ci spronano a non soccombere sotto il peso minaccioso dell’appiattimento del gusto.
Pensate ad un ragazzo che nasce negli anni 2000 nel centro di una città. Avrà sempre meno possibilità di assaggiare il famoso salume del contadino a fronte del Negronetto sempre a comoda disposizione nel supermercato.
La base Negronetto creerà nell’infante, involontariamente, una tipologia di sapore standard e quando spunterà il momento accidentale per l’assaggio del prodotto “ruspante”, la sensazione non potrà che essere univoca: “questo prodotto non è buono”.
La battaglia da vincere non è sconfiggere solo il professionista mediocre nel campo alimentare bensì distruggere la standardizzazione del gusto che è l’obiettivo delle grandi aziende che ci vogliono disponibili solo ai “quattro salti in padella”.
Quando seguite le ricette non fermatevi solamente all’ingrediente fine a se stesso ma anche alla sua qualità.
Le uova del contadino saranno sempre di gran lunga migliori rispetto alle uova di polli allevati in gabbia disponibili negli scaffali del discount, e se chi le produce vi assicura garanzie e sterilità a scapito di un gusto all’eternit, voi imparate a controllare se quelle del contadino sono fresche, con i metodi spicci che la nonna vi ha insegnato (se vengono a galla dentro un pentolino non sono fresche).
Costruire il gusto si può e riuscire a distinguere un cibo buono da uno cattivo è importantissimo. E’ la base per non farsi fregare dal venditore di turno, dal ristoratore di turno, dal supermercato di turno.
Affinate il vostro palato, mangiare è una cosa stupenda ed è una “trasgressione” che dobbiamo mantenere sempre viva per la nostra salute e gioia di vivere.